martedì 29 settembre 2009

Lettere


26 - 09 - 2009
La lettera che segue, del 23 settembre 2009, è di Paolo, un tifoso bresciano. Nel 2005 (in stazione, dopo Verona-Brescia) fu picchiato immotivamente e selvaggiamente dalla Polizia. Finì in coma per molte settimane. Da allora passati più di 4 anni ma giustizia non è ancora stata fatta.
Lettera di Paolo


Ill.mo Ministro degli Interni p.c. Presidente della Repubblica p.c. Presidente del Consiglio p.c. Ministro di Giustizia p.c. Sindaco di Brescia p.c. Prefetto di Brescia p.c. Questore di Brescia p.c. Sindaco di Verona p.c. giornali e tv scrivo questa lettera alla vigilia dell'anniversario di una data che mi ha cambiato la vita: il 24 settembre del 2005. Mi presento: sono Paolo Scaroni, abito a Castenedolo, piccolo paese della provincia di Brescia. Ero un allevatore di tori. Ero un ragazzo normale, con amicizie, una ragazza, passioni, sani valori -anche sportivi- e la giusta curiosità. Facevo infatti molto sport e viaggiavo quando potevo. Ero soprattutto un grande tifoso del Brescia. Una persona normale, come tante, direbbe Lei. Oggi non lo sono più (per la verità tifoso del Brescia lo sono rimasto, sebbene non possa più vivere la partita allo stadio com'ero solito fare: cantando, saltando, godendo oppure soffrendo). Tutto è cambiato il 24 settembre del 2005, nella stazione di Porta Nuova a Verona. Quel giorno, alla pari di migliaia di tifosi bresciani -fra i quali molte famiglie e bambini- avevo deciso di seguire la Leonessa a Verona con le migliori intenzioni, per quella che si preannunciava una sfida decisiva per il nostro campionato di serie B. Finita la partita, siamo stati scortati in stazione dalla polizia senza nessun intoppo o tensione. Dopo essermi recato al bar sottostante la stazione, stavo tornando con molta serenità al treno riservato a noi tifosi portando dell'acqua al resto della compagnia (era stata una giornata molto calda ed eravamo quasi tutti disidratati). Tutti gli altri tifosi erano già pronti sui vagoni per fare velocemente ritorno a Brescia. Mancavano pochi minuti ed i binari della stazione erano completamente deserti. Cosa alquanto strana visto il periodo, l'orario e soprattutto la città in cui eravamo, centro nevralgico per il passaggio dei treni. Improvvisamente, senza alcun preavviso o motivo apparente, sono stato travolto da una carica di "alleggerimento" del reparto celere in servizio quel giorno per mantenere l'ordine pubblico e picchiato a sangue, senza avere nemmeno la possibilità di ripararmi. Sottratto al pestaggio dagli amici (colpiti loro stessi dalla furia delle manganellate), sono entrato in coma nel giro di pochissimo e quasi morto. Dopo circa venti minuti dall'aver perso conoscenza sono stato caricato su un'ambulanza -osteggiata, più o meno velatamente, dallo stesso reparto che mi aveva aggredito- e trasportato all'ospedale di Borgo Trento a Verona. Lì sono stato operato d'urgenza. Lì sono stato salvato. Lì sono tornato dal coma dopo molte settimane. Lì ho passato alcuni mesi della mia nuova vita. Una vita d'inferno. Nel frattempo la mia famiglia, in uno stato d'animo che fatico ad immaginare, subiva pressioni e minacce affinché la mia vicenda mantenesse un basso profilo. Ai miei amici non andava certo meglio, nonostante tutti gli sforzi per far uscire la verità. Ovviamente, alcune cose di cui sopra le ho sapute molto tempo dopo la mia aggressione. Il resto l'ho scoperto grazie al lavoro del mio avvocato. Dalla ricostruzione dei fatti e tramite le tante testimonianze, emerge un quadro inquietante, quasi da non credere; ma proprio per questo da rendere pubblico. In seguito alle gravissime lesioni subite, presso la Procura della Repubblica di Verona è iniziato un procedimento a carico di alcuni poliziotti e funzionari identificati quali autori delle lesioni da me subite. Nonostante il Giudice per le Indagini Preliminari abbia respinto due volte la richiesta d'archiviazione, il Pubblico Ministero non ha ancora esercitato l'azione penale contro gli indagati. Mi domando per quale ragione ciò avvenga e perché mi sia negata giustizia. Oggi, dopo avere perso quasi tutto, rimango perciò nell'attesa di un processo, nemmeno tanto scontato, considerati i precedenti ed i tentativi di screditarmi. Oltretutto i poliziotti erano tutti a volto coperto, quindi non identificabili (com'è possibile tutto questo?), sebbene a comandarli ci fosse una persona riconoscibilissima. Dopo le tante bugie e cattiverie uscite in modo strumentale sul mio conto a seguito della vicenda, aspetto soprattutto che mi venga restituita la dignità. Ill.mo Ministro degli Interni, sebbene la mia vicenda non abbia destato lo stesso scalpore, ricorda un po' le tragedie di Gabriele Sandri, di Carlo Giuliani, ed in particolare di Federico Aldrovandi (accaduta a poche ore di distanza dalla mia), con una piccola, grande differenza: io la mia storia la posso ancora raccontare, nonostante tutto. Le dinamiche delle vicende sopra citate forse non saranno identiche, ma la volontà di uccidere sì, è stata la medesima. Altrimenti non si spiega l'accanimento di queste persone nei miei confronti, soprattutto se si considera che non vi era una reale situazione di pericolo: era tutto tranquillo; ero caduto a terra; ero completamente inerme. Ma le manganellate, come descrive il referto medico, non si sono più fermate. Forse, ho pensato, oltre alla vita volevano togliermi anche l'anima. Per farla breve, in pochi secondi ho perso quasi tutto quello per cui avevo vissuto -per questo mi sento ogni giorno più vicino a Federico- e senza un motivo apparente. Sempre ovviamente che esista una giustificazione per scatenare tanta crudeltà ed efficienza. Le mie funzioni fisiche sono state ridotte notevolmente, e nonostante la lunga riabilitazione a cui mi sottopongo da anni con molta tenacia non avrò molti margini di miglioramento. Questo lo so quasi con certezza: l'unica cosa funzionante come prima nel mio corpo infatti è il cervello, attivo come non mai. Dopo quattro anni non ho ancora stabilito se questa sia stata una fortuna. Ho perso il lavoro, sebbene abbia un padre caparbio che insiste nel mandare avanti la mia ditta, sottraendo tempo e valore ai suoi impegni. Ho perso la ragazza. Ho perso il gusto del viaggiare (il più delle volte quelli che erano itinerari di piacere si sono trasformati in veri e propri calvari a causa delle mie condizioni fisiche), nonostante mi spinga ancora molto lontano. Ho perso soprattutto molte certezze, relative alla Libertà, al Rispetto, alla Dignità, alla Giustizia e soprattutto alla Sicurezza. Quella sicurezza che Lei invoca ogni giorno, e tenta d'imporre sommando nuove leggi e nuove norme a quelle già esistenti (fino a ieri molto efficaci, almeno per l'opinione pubblica). Peccato però che queste leggi non abbiano saputo difendere me, Federico, Carlo e Gabriele dagli eccessi di coloro che rappresentavano, in quel momento, le istituzioni. Ill.mo Ministro degli Interni, alcune cose mi martellano più di tutto: ogni giorno mi domando infatti cosa possa spingere degli uomini a tanto. Non ho la risposta. Ogni giorno mi domando se qualcuna di queste tragedie potesse essere evitata. La risposta è sempre quella: sì. A mio modesto parere, ciò che ha permesso a queste persone di liberare la parte peggiore di sé è stata la sicurezza di farla franca. Sembra un paradosso, ma in un Paese come il nostro in cui si parla tanto di "certezza della pena", di "responsabilità" e di "omertà", proprio coloro che dovrebbero dare l'esempio agiscono impuniti infrangendo ogni legge scritta e non, disonorano razionalmente la divisa e l'istituzione rappresentata, difendono chi fra loro sbaglia impunemente. Ill.mo Ministro degli Interni, dopo tante elucubrazioni, sono giunto ad una conclusione: se queste persone fossero state immediatamente riconoscibili, responsabili perciò delle loro azioni, non si sarebbero comportate in quella maniera ed io non avrei perso tanto. Le chiedo quindi: com'è possibile che in Italia i poliziotti non portino un segno di riconoscimento immediato come accade nella maggior parte delle Nazioni europee? Ill.mo Ministro degli Interni, io non cerco vendetta, semmai Giustizia. Mi appello a Lei ed a tutte le persone di buon senso affinché questi uomini vengano fermati ed impossibilitati nello svolgere ancora il loro "dovere". Chiedo quindi che si faccia il processo e nulla sia insabbiato.
Cordiali saluti. Paolo Scaroni, vittima di uno Stato distratto

martedì 15 settembre 2009

Vengo anch'io


Esclusivo. Spostata tutta la programmazione Rai per far posto questa sera alla trasmissione Porta a Porta.

Certa la presenza di Berlusconi da Vespa che assicura: "Non ci sarà nessun plastico, durante le quattro ore di trasmissione farò vedere come si costruisce una casa antisismica".

Un deserto chiamato pace


Da repubblica: Occuparsi di sport, di calcio in particolare, ha i suoi lati positivi. Per esempio, potrei rivolgermi al ministro Maroni a proposito della sua direttiva sulle trasferte dei tifosi ignorando altre e più drammatiche trasferte sul Canale di Sicilia. Potrei ma non posso. Solo due considerazioni. E' ben strano l' atteggiamento di molti leghisti. Si propongono come i più accaniti difensori dei valori dell' Occidente cristiano e appena qualche vescovo o qualche prete dice qualcosa che non gli torna lo mandano brutalmente a scopare il mare (è un modo dire milanese, va inteso come ramazzare l' oceano e, in greco, farebbe parte degli adùnata). Poi (prima regola: negare comunque, o almeno mettere in dubbio) è piuttosto atroce il loro far di conto. I 5 vivi dicono che erano in 73, morti recuperati 14 (vado a memoria). E fanno 19, dove sono gli altri 54? Come se il mare fosse un bancomat, una cassetta di sicurezza, ancora un po' e gli si chiede la ricevuta. Ma si sa che i conti devono tornare (a casa loro anche loro, così imparano). Ma qui si parla di calcio, di altre trasferte. Mi ha stupito il favore con cui le decisioni di Maroni sono state accolte, a parte il mondo degli ultrà (già avvelenato dalla sentenza-Spaccarotella) e Zamparini, che al solito è andato giù piatto parlando di fascismo e Maroni ovviamente ha avuto buon gioco nel rispondergli di leggere qualche libro. Secondo me anche a Maroni non farebbe male leggere qualche libro, non fosse che poi bisognerebbe trovare chi gli spiega quello che ha letto (vedi ' 94, decreto Biondi) e si farebbe tardi. In parole povere, per andare allo stadio in trasferta dall' inizio del 2010 sarà indispensabile la "carta del tifoso". Indispensabile in Italia, perché all' estero non sanno cosa sia e già questo potrebbe far sorgere qualche dubbio. Non ci aveva pensato nemmeno la Thatcher, tanto per dire. Il ministro, e gli si può credere, ha sbandierato dati interessanti sulla violenza in calo: meno feriti tra i tifosi, tra le forze dell' ordine, meno incidenti. Ma è normale, visti i limiti che già ci sono alle trasferte. Vietandole del tutto, le cifre calerebbero ancora, ma questo paradosso evoca Tacito ("hanno fatto un deserto e l' hanno chiamato pace") e non va bene. Ancora, al ministro (e a chi l' ha preceduto) va riconosciuta l' attenuante di società calcistiche piuttosto inerti (poche le eccezioni) davanti al problema del tifo violento, oppure poco collaborative, spesso propense a scaricare tutto sulle spalle dello Stato. A volte mi succede di sognare un messaggio congiunt o a l l a N a z i o n e (Maroni-Galliani) il cui succo è: statevene a casa, abbonatevi alla pay-tv che vi pare e amen. Starsene a casa può essere una scelta o un obbligo. Qualche caso spicciolo. A: sono un turista cinese ( o messicano) in visita a Roma. Posso acquistare un biglietto per il derby? No. B: sono un sardo residente a Milano. Posso acquistare un biglietto per Juve-Cagliari? No, molto spesso la vendita è riservata a chi vive nella provincia in cui si gioca. C: sono un onesto padre di famiglia, parlo il milanese meglio di Bossi e di suo figlio, io di figli ne ho due, posso portarli al derby? No, perché spesso non si può acquistare più di un biglietto a persona. E poi continuano a dire che bisogna riportare le famiglie allo stadio. Ecco, nei tre casi mi sembra di vedere una limitazione alla libertà individuale. Detto in altri termini, e per puro comodo, immaginiamo di dividere i tifosi in bravi e cattivi. I cattivi identificati, in teoria, sono già soggetti a Daspo, quindi schedati e controllati. Ma che bisogno c' è di schedare quelli bravi? Questo è il punto. Mentre i bagarini continuano a fare buoni affari e se ne fanno un baffo del biglietto individuale, mentre i non cattivi, fino a prova contraria, ma un po' agitati si muovono comunque, poi si vedrà, vorrei che qualcuno mi spiegasse perché un cittadino incensurato, senza precedenti specifici, non è libero di muoversi nel suo paese e di andare allo stadio pagando un biglietto e basta, come si fa nel resto del mondo. Se poi delinque, ci pensi la polizia. Trattare i bravi da cattivi, tanto sappiamo che sono bravi, non è fascismo, è piuttosto una gestione abbastanza ottusa del potere. Si seppellisce così, senza un fiore, la domenica della brava gente che i coltelli li usa solo in trattoria, prima o dopo la partita. Si colpiscono i diritti di una stragrande maggioranza per limitare gli eventuali danni di un' esigua minoranza. Se questo è normale, ditelo voi. A me non pare. Se la libertà di movimento passa per una schedatura (questo è, né più né meno), a me pare condizionamento di libertà. C' è per caso un costituzionalista che ha qualcosa da dire? - GIANNI MURA

lunedì 14 settembre 2009


Da Il Tempo: Mattina di un giorno qualunque, una domenica di due anni fa. In un'area di servizio ad Arezzo tifosi della Lazio e della Juve s'incontrano per caso. Un accenno di tafferuglio e due pattuglie della stradale intervengono, poi uno sparo in aria fa scappare i ragazzi che litigano. Le gomme stridono sull'asfalto, è un fuggi fuggi generale. All'improvviso un altro sparo risuona nell'aria, uno sparo dapprima negato ma che molti testimoni hanno sentito. Sono le 9.15 dell'11 novembre 2007, Gabriele Sandri muore così, il collo trapassato da un proiettile esploso dalla Beretta d'ordinanza dell'assistente di polizia Luigi Spaccarotella. Ci sono voluti due anni e un lungo, tormentato processo, per arrivare a una verità giudiziaria che forse verità non è, a una sentenza duramente contestata dalla famiglia di Gabbo, già pronta a impugnare il provvedimento in appello. Quel poliziotto, Luigi Spaccarotella, è stato condannato a sei anni di reclusione per omicidio colposo, il pubblico ministero ne chiedeva 14 per omicidio volontario. Ieri sono state pubblicate le motivazioni. E il perno ruota tutto intorno a una sfumatura giuridica tanto lieve da sembrare inconsistente, eppure tanto profonda da valere la vita di un ragazzo. È il dolo eventuale, che qualifica lo stato d'animo di chi commise quel reato: lanciarsi all'inseguimento con la pistola in pugno, spianare l'arma mirando con le due braccia tese, sparare verso la Renault Megane di quei ragazzi che scappavano dall'autogrill Badia al Pino di Arezzo. Voleva davvero uccidere, il poliziotto? Voleva colpire Gabriele Sandri? Domande che la Corte d'assise d'Arezzo ha sciolto dando piena fiducia a Spaccarotella: «Mai e poi mai poteva accettare che il proiettile finisse per colpire, e addirittura uccidere taluno degli occupanti», annotano i giudici nelle 143 pagine del provvedimento. Ma sono domande tuttavia che non hanno alcun senso e che partono da un presupposto errato, cioè che Spaccarotella volesse colpire le gomme dell'auto. Trascurando l'unico particolare di rilievo in tutta questa maledetta storia: da quella prospettiva, le gomme della Megane non erano visibili. Il proiettile infatti attraversò sì l'autostrada, ma la visuale era coperta in quel tratto dalla siepe. Irrilevante la deviazione che l'ogiva subì a causa dell'impatto con la rete metallica, che deviò il colpo, è vero, ma solo in orizzontale. Quel che rileva semmai è l'altezza dello sparo, quel che rileva è che lo stesso Spaccarotella, sentito dal pm subito dopo i fatti, mai ha parlato di voler mirare alle gomme, anzi ha sempre continuato a difendere la tesi del colpo accidentale partito per sbaglio dopo aver inciampato nella corsa: «Preciso che avevo considerato che se avessi sparato con l'intento di colpire l'auto da quella posizione, avrei potuto colpire invece una qualsiasi delle autovetture che a quell'ora percorrevano le due carreggiate», la sua dichiarazione a verbale. Cinque testimoni però smontano la tesi dell'incidente, dichiarando di averlo visto puntare la pistola, e anzi gli stessi giudici negano questa possibilità: voleva sparare alle ruote, questa la tesi, ma ha sbagliato mira, il proiettile è stato deviato dalla rete, Gabriele Sandri è morto. Omicidio per colpa, insomma, e nulla importa se Spaccarotella non ha mai ammesso nulla di tutto ciò: la corte sostiene che «il colpo era direzionato, non diretto, si badi bene, ma direzionato verso una parte della vettura collocabile all'incirca non oltre la metà della sua altezza». Gli elementi contrari però sono molti. I testimoni innanzi tutto, che cristallizzano l'immagine del poliziotto che prende la mira; la visuale, ricostruita dai periti, in base alla quale da quel punto di fuoco la parte bassa della Megane era coperta. Allora è la domanda di partenza a essere sbagliata: se davvero cioè l'agente voleva uccidere. La domanda giusta è invece: «A cosa mirava Spaccarotella?» Da quella posizione poteva mirare solo all'abitacolo, questa la risposta, anche se certo non voleva uccidere Gabriele Sandri in persona, che neppure conosceva. Ecco allora la nozione del dolo eventuale: per la dottrina e anche per la giurisprudenza, da ultimo la sentenza 44712 della Cassazione del dicembre 2008 che i magistrati di Arezzo trascurano, è l'accettazione del rischio di procurare l'evento-reato, la decisione di agire costi quel che costi, vale a dire la previsione del rischio e delle sue eventuali conseguenze. Quale rischio poteva comportare allora, non solo per un poliziotto con un minimo d'esperienza ma agli occhi di chiunque, la decisione di sparare attraverso l'autostrada contro l'abitacolo di una macchina in corsa, costi quel che costi? Gabriele Sandri, colpevole d'essere tifoso e di trovarsi al posto sbagliato nel momento sbagliato, l'ha scoperto sulla sua pelle.

lunedì 7 settembre 2009

A mmbriachi


Ahmadinejad: "Sono prontoa incontrare Obama"

Fini: "Voto agli immigrati alle elezioni amministrative"

Berlusconi: "«Non c'è libertà di stampa?Una barzelletta dei cattocomunisti»

mercoledì 2 settembre 2009

Comunicare

Gli italiani e la fantasia





































martedì 1 settembre 2009

Frecce Tricolori


Caso Libia.

«Shut down the engine, you have a delay». Per ben due volte il comandante delle Frecce Tricolori, Massimo Tammaro, che stava rullando sulla pista dell'aeroporto militare di Maitiga ha ricevuto dalla torre di controllo l'ordine di spegnere i motori e rientrare perchè l'esercitazione era cancellata.

Tripoli chiede all'Italia il fumo verde.

Gli italiani: al massimo di verde possiamo portare un pò di albanese.....